Esterovestizione

Una società con sede legale in Olanda, avente partecipazioni in società italiane ed in società residenti in altri paesi dell’Unione Europea, è stata considerata dall’Agenzia delle Entrate italiana residente in Italia ai sensi dell’art. 73, comma 5, del dpr 917/86 il quale prevede che: “salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se in alternativa:

a) Sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) Sono amministrati da un consiglio d’amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.”

La norma citata introduce delle presunzioni a favore dell’Amministrazione finanziaria (e fatta salva la prova contraria da parte del contribuente) al fine di accertare la residenza italiana e la conseguente applicazione della normativa (e tassazione) domestica.

Nel caso di specie la società olandese era controllata da una società italiana e, secondo l’AdE, l’olandese avrebbe avuto a sua volta il controllo di una società italiana, verificandosi quindi i presupposti previsti dall’art. 73, comma 5 del tuir. L’Agenzia ha applicato l’art. 73, comma 5, facendo riferimento al presunto controllo intercorrente tra la società olandese (controllante) e la società italiana (controllata) non ai sensi di quanto previsto all’art. 2359, comma 1 del c.c., ma richiamando il controllo riconducibile all’accezione di centro di interessi, nel caso di specie, rappresentato da un nucleo familiare di imprenditori italiani, interpretando quindi il concetto di controllo in modo estensivo che va oltre le disposizioni del testo unico delle imposte e del codice civile.

La nostra difesa

Oltre a contestare la carenza del contradditorio preventivo, abbiamo rilevato che la presunzione tributaria  ex art. 73 comma 5-bis TUIR può trovare applicazione (e sempre fatta salva la prova contraria del contribuente) al ricorrere di ben determinate e tassative condizioni non potendo estendere l’utilizzo di tali presunzioni a fattispecie non previste dalla normativa stessa.

La norma (art. 73, co 5 bis, Tuir) prevede espressamente che il controllo rilevante è soltanto quello regolato dall’art. 2359 comma 1 c.c., norma puntualmente richiamata dalla presunzione legale utilizzata dall’Agenzia. Ricordiamo che , l’art. 2359 comma 1 c.c. prevede che sono considerate società controllate:

1) Le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

2) Le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

3) Le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

L’Agenzia delle entrate ravvisava la fattispecie di controllo in un presunto centro di interessi riconducibile a diversi soggetti (persone fisiche e società) appartenenti ad una famiglia di imprenditori senza però dimostrare l’esistenza dei presupposti previsti dall’art. 2359, comma 1, ed abbiamo dimostrato che tali presupposti non esistevano e che non è possibile interpretare la presunzione legale di cui all’art. 73, comma 5, tuir in modo estensivo.

La Commissione Tributaria Provinciale ha accolto il ricorso.


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