Criptovalute assimilate alle valute estere

Negli ultimi anni bitcoin e cryptovalute sono divenuti termini di uso corrente su cui però si rischia ancora di fare parecchia confusione, anche ai fini fiscali.

Dal punto di vista normativo e più in particolare fiscale, non vi è ancora una legislazione specifica ed esaustiva della materia.

Occorre, tuttavia, citare due importanti interventi sia a livello comunitario che nazionale ed in particolare:

  • sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 22 Ottobre 2015, causa C-264/14, la quale ha riconosciuto che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità di valuta virtuale bitcoin e viceversa costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso e rientrano tra le operazioni relative a divise, banconote, monete con valore liberatorio.
  • Dlgs n. 90 del 2017 in materia di antiriciclaggio che definisce la Valuta virtuale  quale «rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente» e Prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale”.

In assenza di norme fiscali  specifiche occorre, pertanto, fare riferimento alla prassi ed in particolare a quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate con due specifici interventi:

in risposta alle istanze di interpello proposte dai contribuenti, specificando però che la risposta dell’Agenzia delle Entrate all’Interpello è  valida solo per il proponente l’interpello stesso e non vincolante per tutti i contribuenti.

 

Con la risoluzione 72 del 2016, in risposta a un quesito rivolto da una società a responsabilità limita che intendeva svolgere un’attività di servizi relativi a bitcoin e  chiedeva conferma del corretto trattamento fiscale ai fini IVA, IRES e IRAP, l’Agenzia delle Entrate aveva precisato che le operazioni in oggetto sono esenti ai fini iva, ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 3), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 mentre la differenza tra il prezzo di acquisto e di vendita è assoggettata ad IRES ed IRAP.

Per quanto riguarda invece la tassazione in capo alle persone fisiche (al di fuori dell’attività di impresa) la stessa Agenzia aveva espressamente specificato che “per quanto riguarda, la tassazione ai fini delle imposte sul reddito dei clienti della Società, persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, si ricorda che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa.”

 

Tale orientamento è stato recentemente superato con la risposta all’interpello 956-39/2018 in cui viene precisato che:

  • Le plusvalenze derivanti dalle valute virtuali sono tassate al pari delle valute estere;
  • Le valute virtuali devono essere indicate nella dichiarazione dei redditi nel quadro RW.

L’assimilazione delle valute virtuali alle valute estere comporta che:

  • Le cessioni a termine sono sempre rilevanti (art. 67, comma 1, lett. c ter) dpr 917/1986 – Testo unico delle imposte sui redditi));
  • Le cessioni a pronti sono rilevanti, ai sensi dell’art. 67, comma 1 ter, Dpr 917/86, e generano redditi diversi quando la valuta ceduta deriva da prelievi da portafogli elettronici(wallet) per i quali la giacenza media superi un controvalore di Euro 51.64569 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta.

In tali casi, i plusvalori vanno indicati nel quadro RT del Modello Unico Persone Fisiche e asseggettati ad imposta sostitutiva del 26% e,  in caso di gestione affidata ad un’ intermediario finanziario, dovrebbe essere applicata la ritenuta d’acconto a titolo d’imposta.
Tuttavia, sarebbe necessario un intervento del legislatore poiché nella compravendita di criptovalute non si parla nè di cessione a termine, nè di deposito di conto corrente.

 

Problemi sorgono anche in merito al monitoraggio fiscale (quadro RW).

Il quadro RW deve essere compilato da tutti coloro che detengono attività finanziarie all’estero.

Secondo la recente interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, le criptovalute sono assimilate alle attività finanziarie detenute all’estero e pertanto i possessori di criptovalute dovrebbero obbligatoriamente compilare il quadro RW.

Tale interpretazione appare discutibile. Infatti anche volendo considerate le criptovalute quali attività di natura finanziaria, i problemi  maggiori emergono in merito alla localizzazione delle stesse all’estero, in quanto le stesse possono considerarsi a-territoriali e cioè non si trovano fisicamente né in Italia né all’estero, le criptovalute stanno nella “rete” (di fatto, nella blockchain) .

Le valute virtuali non hanno infatti natura fisica ma bensì digitale e vengono conservate in portafogli elettronici (c.d wallet) .

Risulta quindi oggettivamente impossibile localizzare le cripovalute in quanto, di fatto, le valute virtuali sono file non replicabili salvati su disco rigido ma comunque collegati ad una rete di elaboratori che non ne permette la duplicazione e, soprattutto, la definizione di un luogo fisico di ‘deposito’.

L’obbligo di indicazione nel quadro RW non dovrebbe sussistere ogni qualvolta la persona fisica abbia la disponibilità della chiave privata, che rappresenta il “mezzo” attraverso il quale la stessa persona manifesta la volontà di disporre delle criptovalute.

La compilazione del quadro RW potrebbe sussistere solo per le criptovalute per le quali le chiavi private sono gestite dal custodial wallet  non residente o domiciliato all’estero. La risposta all’interpello non affronta poi il problema dell’indicazione nel quadro RW del Paese estero. Risulterebbe contraddittoria la compilazione del quadro RW senza l’indicazione dello Stato estero.

Anche in questo caso è auspicabile un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate..

 

Da ultimo l’Agenzia delle Entrate precisa che il valore delle valute virtuali archiviate nel borsellino elettronico non è soggetto a Ivafe (imposta sul valore dei prodotti finanziari detenuti all’estero) in quanto, per le Entrate, l’imposta si applica ai depositi e conti solo di natura bancaria.

 


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