Nuove regole Cfc e tassazione dei dividendi esteri: si cambia ancora

Le regole riguardanti la disciplina CFC (Controlled Foreign Companies) sono state proposte a livello globale dall’OCSE e riviste successivamente nell’ambito del progetto BEPS. L’Unione Europea ha affrontato il tema nella Direttiva antielusione ATAD 1 (Anti Tax Avoidance Directive, UE 2016/1164). Anche il nostro legislatore nazionale si è mostrato molto interessato al tema, ed infatti, dal dicembre 2014 ad oggi, ha modificato la disciplina delle Cfc ben quattro volte: con le leggi di stabilità 2015 e 2016, con il Decreto Internazionalizzazione 147/2015 e con il Decreto Legislativo 29 novembre 2018 n. 142 di recepimento della Direttiva ATAD, attraverso il quale, ha modificato diverse disposizioni del TUIR.

 

Finalità della norma

La finalità della norma è quella di contrastare comportamenti volti a conseguire vantaggi fiscali derivanti dall’aver collocato in ordinamenti in cui la fiscalità sia significativamente più bassa di quella nazionale quegli attivi che siano suscettibili di produrre redditi senza l’impiego di una vera e propria organizzazione imprenditoriale. È dunque una norma antiabuso che non interferisce con altre disposizioni che mirano ad esempio all’accertamento della residenza, contrastano fenomeni di interposizione o che disciplinano il transfer pricing.

 

I criteri per l’individuazione dei regimi fiscali privilegiati

Il nuovo criterio di identificazione dei regimi fiscali privilegiati è contenuto nel nuovo art. 47-bis del TUIR e cambia a seconda che la partecipazione nel soggetto non residente sia o meno di controllo. Nel caso di partecipazione di controllo è necessario fare riferimento alla tassazione effettiva del soggetto partecipato; nel caso di partecipazione non di controllo è necessario avere riguardo al livello di tassazione nominale.

 

Nuova disciplina Cfc (Controlled Foreign Companies)

La nuova versione dell’articolo 167 Tuir stabilisce che le disposizioni Cfc si applicano alle persone fisiche, società di persone, società di capitali, enti, stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, che controllano o posseggono il diritto a percepire la maggioranza degli utili di soggetti non residenti, quando si verificano congiuntamente le seguenti due condizioni:

– la controllata estera è assoggettata, nello Stato estero, ad una tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta in Italia;

– oltre un terzo dei proventi della controllata estera è costituito da passive income (interessi, canoni, dividendi e redditi da cessione di partecipazioni, redditi da leasing finanziario, da attività assicurativa, da operazioni di vendita di beni o servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti “intercompany”).

Al ricorrere delle suddette situazioni la società controllata estera viene trattata come un soggetto trasparente. Il reddito prodotto dalla controllata estera viene imputato al soggetto controllante e da questi tassato, in maniera separata, con la propria aliquota media (comunque non inferiore all’aliquota IRES ordinaria), indipendentemente dall’effettiva percezione dello stesso.

A differenza della precedente disciplina che prevedeva due esimenti, la nuova formulazione normativa esonera dal nuovo regime di tassazione per trasparenza solo i casi in cui il soggetto controllato estero svolga una attività economica effettiva mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali. L’esimente può essere dimostrata anche mediante interpello preventivo.

 

Le regole fino al 2018

Fino al 2018 compreso, la norma, ancora applicabile quindi alle dichiarazioni 2019, aveva di fatto individuato due diversi regimi: uno relativo a qualunque tipologia di reddito prodotto da soggetti non Ue/SEE ed uno relativo ai “redditi passivi” ovunque localizzati (quindi anche Ue/SEE). Nel primo caso si considerava il livello di tassazione nominale; nel secondo, il livello di tassazione effettiva (con l’ulteriore condizione della prevalenza dei “redditi passivi” sulla totalità del reddito prodotto dal soggetto non residente). Il nuovo approccio, invece, oltre ad aver diminuito ad un terzo il limite relativo ai passive income, prevede che l’individuazione dei soggetti CFC controllati sia effettuata sulla base del livello di tassazione effettivo.

 

Modifiche in tema di tassazione dei dividendi

Le nuove norme in tema di tassazione dei dividendi prevedono che gli utili provenienti dalle partecipate estere localizzate in Stati o Territori a fiscalità privilegiata, individuati ai sensi dell’articolo 47-bis, concorrono integralmente alla formazione del reddito del soggetto percipiente residente.

Tuttavia, qualora il soggetto residente dimostri che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati a regime fiscale privilegiato, potrà escludere dal proprio reddito il 95% dell’utile percepito. A seguito, invece, della dimostrazione di una effettiva attività economica svolta dalla partecipata non residente, il soggetto residente ricevente potrà escludere dalla formazione del proprio reddito il 50% dell’utile percepito.

 

Sfasamento temporale e modifiche ai criteri: momento di maturazione o percezione del dividendo?

Già negli anni passati, il susseguirsi, nella legislazione interna, di modifiche normative e dei criteri per l’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata, aveva generato il tema della rilevanza del criterio da adottare secondo il momento di maturazione del reddito o di percezione dello stesso: l’Agenzia delle Entrate (circolare 35/E del 2016) aveva chiarito che, per comprendere se i dividendi provenissero o meno da un Paese a fiscalità privilegiata “assume rilevanza il momento di percezione del dividendo, perché è in tale momento che si verifica il presupposto impositivo in capo al soggetto residente”. La Legge di Bilancio 2018, successivamente, ha superato la questione stabilendo che non si considerano provenienti da società residenti in Stati a regime fiscale privilegiato gli utili maturati quando la controllata era “White List” anche se, per effetto dei nuovi criteri di individuazione degli Stati a fiscalità privilegiata, al momento della percezione, la partecipata è considerata residente in un paradiso fiscale.  Nel diverso caso in cui il dividendo si era formato in un esercizio in cui il soggetto estero era considerato black list (con le regole all’epoca vigenti), ma distribuito nell’esercizio in cui il medesimo soggetto non può più essere considerato “black” (con le regole vigenti al momento della distribuzione), questo non sarà soggetto a tassazione integrale.

 

Permangono incertezze

Il continuo avvicendarsi di modifiche normative, sia a livello internazionale che nazionale, non fa altro che alimentare una situazione di incertezza, non solo per soggetti Italiani (tra cui le persone fisiche), ma anche, in alcuni casi, soggetti non residenti che istituiscono in Italia stabili organizzazioni.

Non aiutano, inoltre, i differenti indicatori di rischio utilizzati per individuare i Paesi non collaborativi in ambito UE ed OCSE. L’UE basa la propria lista dei Paesi non collaborativi sulla base di tre indicatori, quali la carenza nella trasparenza nello scambio di informazioni (su richiesta e automatico), l’esistenza di regimi fiscali preferenziali e l’esistenza di un sistema privo di imposte sul reddito o con imposte sul reddito pari a zero; mentre l’OCSE solo sulla trasparenza e scambio di informazioni. Queste differenze nell’individuazione dei criteri possono generare effetti distorsivi. Ad esempio, l’Italia, nello stilare la propria white list di Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni, ha inserito ben otto Paesi considerati black secondo la UE. Questi disallineamenti sono in parte giustificabili per il fatto che con questi Paesi l’Italia ha stipulato, in maniera bilaterale, una convenzione per evitare la doppia imposizione o accordi per lo scambio di informazioni.

Ulteriori fattori di incertezza sono ravvisabili anche nella norma. Ad esempio, uno di questi è senz’altro  rappresentato dalla mancanza di un riferimento qualitativo e ancor meno quantitativo in relazione alla dimostrazione dell’esimente che permette di superare la presunzione di controllata residente in Paese a fiscalità privilegiata. Ci si auspica che taluni chiarimenti vengano forniti con le prossime disposizioni attuative della norma.


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